La la land: il ritorno del musical – la Recensione

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Il film più discusso dell’anno che molti odieranno e molti invece ameranno, è sicuramente La la land. La mia recensione è assolutamente positiva, in quanto trovo in questo film una rinascita del musical moderno.

Ecco perché secondo me è una specie di capolavoro:

Partiamo dalla primissima scena, ovvero dalla scritta “Presentato in CinemaScope.”
Ovviamente il CinemaScope non esiste più, ma per chi non lo sapesse consisteva nell’utilizzo di lenti che comprimevano l’immagine in larghezza, mantenendo invariata l’altezza, al fine di ottenere fotogrammi a largo campo visivo. Fuori uso dal 67′, La la land ha”ripiegato” sulla strumentazione Panavision. Inoltre La la land è uno di quei pochi film dell’era digitale girati in pellicola.
In tutto ciò vediamo l’intento di omaggiare la storia del cinema e il vecchio musical hollywoodiano.
Ma non solo: non potremmo non notare molti passaggi di sequenza molto simili al vecchio cinema, o addirittura il font utilizzato nei titoli di coda che ci ricorda il cinema muto.

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Questa scena si ispira a “E’ sempre bel tempo” con Gene Kelly
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E questa non può che ricordarci “Singin’ in the rain”.

Passiamo alla seconda scena.
Un gruppo di ballerini, circa un centinaio, blocca il traffico di Los Angeles mettendosi a ballare e cantare sulle auto per ben 6 minuti in un unico piano sequenza. La scena è pazzesca, e Damien Chazelle, coordinando alla perfezione centinaia di ballerini e occupando un’autostrada per riprendere la scena, vuole ricordarci il suo intento di voler ricreare qualcosa di grande. In un’intervista ha affermato che la prima sequenza è un omaggio alla Yellow Brick Road del Mago di Oz.

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Dopo Whiplash il giovane regista ci ricorda quanto sia bravo a creare pellicole ritmate e coincise. La la land alterna un montaggio che a tratti scorre velocemente, e a tratti lascia spazio a scene dilatate, come sguardi e riflessioni. La trama è assolutamente bilanciata fra canzoni e scene parlate, fra comicità e dramma. Spesso, dopo un lungo piano sequenza, sono montate freneticamente scene molto ritmate e intense. Sebbene la seconda parte sia più lenta, niente risulta essere di troppo e niente è scontato.

La storia è semplicissima: è la solita storia d’amore già raccontata milioni di volte. Eppure Chazelle la rende coinvolgente, ampliando i personaggi, dilatando le loro passioni e sviando la banalità. Molti cliché classici (come un telefono che squilla prima del bacio) sono messi in evidenzia ma quasi in modo ironico, per rendere omaggio ma anche per dare comicità.
Sento già le persone che diranno: “Ma è una storia normalissima… ma è scontatissima…“. Vi ricordo che un buon film non si giudica da cosa tratta, ma da come lo tratta.

La fotografia del film è davvero splendida, caratterizzata da tre colori principali: blu, rosso e giallo, con le relative sfumature vintage. Il film è ambientato nell’epoca moderna, ma è tutto trasformato in un’atmosfera sognante e antica, a partire dai colori e dai vestiti. L’illuminazione è curatissima e variegata: possiamo vedere luci bicolore, figure in silhouette e pure l’occhio di bue puntato su Sebastian mentre suona il piano. Il film è girato quasi interamente girato durante la blue hour, ed in effetti i colori del tramonto, che a volte ci regalano cieli viola, sono ben visibili in ogni scena. 

Il tema principale sembra proprio essere l’American Dream: la Los Angeles di La la land è un “sogno”, è un luogo ideale, fatto di attori e musicisti, di palme e spiagge, di luci e stelle. E anche i due protagonisti sono ideali, la classica attrice sognatrice, e il bello e romantico musicista jazz.
Ma la morale sotto sotto ce lo fa capire: il sogno di Mia e Sebastian non è idilliaco e perfetto, ma comporta rinunce, sacrifici e dolore.
Molte sequenze ci fanno capire che il film non si ispira alla realtà, quanto più all’idealizzazione di essa, considerando anche l’improbabilità che due persone si rincontrino svariate volte in una città come Los Angeles.

Il film riscontra anche il problema del “prodotto commerciale”, perché prima di poter produrre la propria opera, si deve scendere a compromessi con ciò che vuole la gente. Ciò si nota soprattutto con Sebastian, amante del jazz classico, che deve modernizzare la sua musica sacrificando il proprio piacere.
Questa attualizzazione, il “jazz che sta morendo”, è una caratteristica assolutamente innovativa per un musical, che scende a patti con il presente.

Veniamo al cast:
Emma Stone brilla su tutti, con un’interpretazione assolutamente matura di Mia. Ci dimostra di essere in grado di unire perfettamente comicità e dramma, ed avere inoltre delle buone doti canore. Ha la faccia sognante, svampita, ma è anche molto emotiva e curiosa, con un fare sempre fanciullesco e disilluso. Ma sa quando ridere, quando piangere e comunicarci un senso di imbarazzo, ma anche di eccitazione.tumblr_oiz3eyfajr1uansxmo1_500

Ryan Gosling è invece un personaggio più pacato, e gli calza a pennello il ruolo del “bel pianista jazz”, molto più concreto di Mia, ma comunque un gran sognatore capace anche di far sognare gli altri. Inoltre se la gioca magistralmente nelle scene comiche.
Colpisce in particolare la loro spontaneità, il realismo delle loro azioni, la logica del loro parlare, e la grande affinità che i due hanno creato.

Le canzoni del film in un certo senso non sono propriamente jazz, come City of Stars, anche perché sarebbero state impossibili da ballare. Migliori sono sicuramente le parti che suona Sebastian, quelle nei club che frequenta, o quei giri di basso ridondante che spesso vengono riproposti sottofondo. Un elogio sicuramente alle coreografie spettacolari e ai molteplici piani sequenza piuttosto lunghi che ci fanno entrare all’interno della scena, mostrandocela da molteplici inquadrature.
Bella è anche l’idea di non utilizzare due attori non cantanti professionisti, in quanto sembra molto più reale e spontaneo il loro modo di fare musica.

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Che il film sia curato in tutti gli aspetti ce lo dimostrano anche le scenografie: si passa da pub e ristoranti in vecchio stile, a ricostruzioni di set cinematografici e concerti. Indimenticabile poi, il Griffith Observatory. Molto geniale è la scelta di costumi in vecchio stile, che rendono il tutto molto più fiabesco e coreografico senza stonare. I colori dei vestiti sono monocromatici, e sono funzionali alla fotografia.

La la land non manca di imperfezioni, ma si presenta comunque come un perfetto insieme nostalgico, emotivo e ritmato: è un film davvero “dedicato ai sognatori“, che riesce a far sognare come un film della Disney e allo stesso tempo commuovere con i semplici e puri sentimenti.
Promosso a pieni voti.

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ATTENZIONE SPOILER
Piccola opinione sul finale:
Mi è piaciuta un sacco l’idea di ripercorrere velocemente la storia cambiandola e rendendola perfetta. Tra l’altro sono convinta che ad alcuni scenderà la lacrimuccia per quello sguardo che Mia e Sebastian si lanciano. In quell’ultima sequenza possiamo anche vedere come l’atteggiamento dei due personaggi sia cambiato, mostrandoci i due protagonisti più maturi e consapevoli della loro vita. Inoltre questa sequenza si inserisce proprio nel momento in cui lo spettatore ha bisogno di un finale non convenzionale e coinvolgente.

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Sceneggiatura     ★★★½
Recitazione          ★★★★
Aspetto tecnico  ★★★★
Emozione             ★★★★

3 risposte a "La la land: il ritorno del musical – la Recensione"

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